Legni diVersi

Enrico Challier

Presenze, silenzi, sottili emozioni scandiscono il tempo della scultura di Enrico Challier, il clima di una continua ed inesausta ricerca segnata dalla figura femminile, dalla malinconia degli sguardi, dalla forma allungata delle immagini che sembrano evocare l’essenzialità di Giacometti.
Challier lavora il legno con energia, con tensione emotiva, con l’intrigante impiego del colore che sottolinea il valore della rappresentazione accompagnata dal fluire dei versi di Pablo Neruda o di Nazim Hikmet, perché proprio la poesia offre all’artista la possibilità di comunicare sentimenti, attese, inquietudini.
La donna è l’insostituibile elemento costitutivo della figurazione di Challier, del suo reinterpretare sogni e visioni, della volontà di trasmettere il senso di un pensiero in cui si coglie che «un vero artista può svelare mistiche verità e deve professare incessantemente la ricerca della bellezza, perché solo la bellezza ci salverà…». E così le sculture diventano segnale, ricordo, misura di una narrazione che si snoda con estrema sensibilità, con la strenua energia insita nel legno, con l’incisività della linea che circoscrive, racchiude, fissa nello spazio la ragazzina dei jeans o la donna seduta con i capelli nel vento. E sono donne lievi e quasi immateriali, proiettate verso una suadente verticalità, composte con una tecnica che trasforma la forma preesistente del tronco o del fusto di un albero secondo un’interpretazione che viene da lontano, dai ricordi dell’infanzia, dalla profonda indagine intorno all’esistenza simbolicamente vista negli alberi: «… li ho amati sempre di più e da quell’amore profondo nasce la scelta, consapevole, di affidare a loro la mia arte. Sono il materiale perfetto… si possono piegare, curvare, magari anche spezzare, ma sempre cercano di andare verso l’alto…».
Una propensione ascensionale che caratterizza il ritmo compositivo, la definizione del corpo, la delicatezza degli abiti che fasciano la figura allungandola con regale compostezza, con un movimento estremamente controllato, con uno sguardo emblematico e seduttivo che affascina e trasmette la straordinaria forza di un’idea o di una storia o dei capitoli del romanzo di una vita.
E in queste sculture policrome, la corteccia diviene abito, gonna, scarpe rosse, in una risoluzione attuata con un decisivo scavo della materia-legno, mentre nella «Scultura arancio e oro» si avverte una rattenuta passionalità: «Sei la mia schiavitù sei la mia libertà/ Sei la mia carne che brucia/ Come la nuda carne delle notti d’estate…» (Nazim Hikmet).
Instancabile, il segno di Challier va oltre la realtà per approdare a un universo dove si scopre un’umanità riconquistata, rivisitata, reinterpretata con la freschezza di un dialogo che attraversa il tempo, la società, le stagioni di una ricerca capace di conferire al modellato una propria e indiscutibile identità femminile, come nelle parole di Johann Wolfgang Goethe: «Ciò che trapassa/ non è che figura./ L’inadeguato/ qui si fa evento./ L’inesprimibile/ ha compimento;/ l’eterno femminino/ verso l’alto ci trae». Il sogno, l’«albero sulla spalla», il «cuore che vola», «la ragazza con i capelli lisci davanti al viso», sono altrettanti momenti dell’incontro di Challier con la scultura, ma sono anche l’immancabile ritrovarsi al cospetto di un’esistenza che a volte è come una «foglia d’oro» o «il mare nel vestito».
E le donne di Challier ci appartengono. Seducenti, assorte, misteriose, che il gesto dello scultore incide nella memoria.

Angelo Mistrangelo


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Credits: M. Challier (Archivio Enrico Challier)