Daniele Galliano

Studio d’artista

L’atelier di un artista è insieme rifugio e vetrina, magazzino e museo, fabbrica e salotto. Spazio mentale e spazio reale coincidono in un unico laboratorio di idee e materiali.

Il momento dello studio visit rappresenta per gli artisti l’occasione di raccontare la propria ricerca poetica e per i visitatori di osservare con sguardo privilegiato la loro vita e il loro processo creativo.
Quanto lo studio racconta del lavoro di un artista e viceversa, come l’artista si racconta all’interno del suo studio?

Un interrogativo che è insieme un invito ad aprire le porte dello studio di Daniele Galliano.

E Daniele lo troviamo lì, nel suo studio ricavato in un ex opificio manifatturiero, ora suddiviso in loft, nel cuore di Borgo Aurora, a dipingere sotto il grande lucernario.
Una lastra di vetro come tavolozza, dove grumi di materia e mescolanze paiono già una prima tela. Tocchi di colore rapidi e istintivi guidati da un gesto da direttore d’orchestra.
La pittura pastosa e sfocata emerge dallo sfondo nero, un monocromo dal quale l’artista decide di partire a dipingere per poi espandersi secondo le diverse gradazioni del colore.
Sono molti gli oggetti d’ispirazione, disposti secondo un innato disordine estetico, libri, strumenti musicali e fotografie. Proprio quest’ultime sono il suggerimento pittorico, lo spunto per nuove riflessioni, innescando quel processo che trascende l’immagine stessa, perché la pitture va sempre oltre amplificando e idealizzando la realtà.

Estratto da “Daniele Galliano: rifiutare l’inganno” in Daniele Galliano – Dipinti 1993 – 2014
di Demerio Paparoni

“L’arte di Daniele Galliano si muove su un doppio binario. Da una parte guarda alla sfera intima, a ciò che avviene nel chiuso di una stanza, dall’altra osserva la folla, gli aspetti della vita collettiva, le diverse forme di aggregazione, quali il rito comune della preghiera in una moschea, un rave, una processione di monaci buddhisti, un conclave, una seduta di Borsa. La folla è oggetto del suo interesse anche quando si trova in una situazione di disagio, come un gruppo di migranti stipati su un barcone.

Galliano fa propria la tesi secondo cui le folle sono cosa ben diversa dalle masse, caratterizzate da comportamenti stabili e uniformi. A interessarlo non è la massa ma la folla, sono le persone che scelgono di condividere un rito collettivo e, ancora di più, quelle che considerano il rito collettivo un’esperienza liberatoria. In quest’ottica, migliaia di persone che si riuniscono per un rave, un ristretto gruppo di amici che si incontrano in un pub o due amanti nell’intimità di una stanza esprimono lo stesso concetto. Ritrovarsi nella folla, spiega Galliano, non significa annullarsi. Riconoscersi empaticamente nell’altro, sentirsi parte del tutto, può consentire di vivere una coinvolgente esperienza spirituale, come può consentire di sviluppare relazioni e produrre comportamenti che diversamente non si manifesterebbero. I suoi dipinti rimarcano che quanto più l’individuo sceglierà di socializzare con chi ha le sue stesse tendenze o aspirazioni, tanto più potrà dare sfogo a comportamenti liberatori. Di contro, quanto più l’individuo accetterà di omologarsi alla massa, tanto più subirà le scelte altrui, privandosi della possibilità di riconoscere la bellezza nell’altro da sé.

La matrice realista dei dipinti di Galliano trova il suo contraltare nelle pennellate gestuali, che fanno interagire figurazione e astrazione: da vicino il quadro appare astratto, da lontano diventa realista. Non si tratta solo di una scelta formale: attraverso questo espediente Galliano ci dice che più si guarda il mondo da lontano più la sua percezione sarà nitida. Nello stesso tempo ritiene che la via migliore per mettere in relazione universo interiore e mondo esterno sia uno sguardo empatico verso ciò che ci sta dinanzi […]”.

Credits: Archivio Galleria Losano