L’intimità vegetale

Cristina Pennacchio

L’approdo è la riva del Lago d’Iseo, la vecchia casa di famiglia fra gli ulivi; il cane, i gatti, bambini che vanno e che vengono. Una piccola vasca in giardino con le ninfee bianche, le foglie verdi, l’acqua grigia con i riflessi blu, il guizzo rosso d’un pesce.
L’obiettivo fotografico, già rivolto in passato alla scoperta di rapporti di luce sul corpo umano, torna a farsi strumento di conoscenza e sperimentazione essenziale, aprendosi alle sorprese offerte dai mezzi digitali. Sicché anche le tecniche di stampa, le carte, gli inchiostri, rivelando nuove potenzialità, concorrono ad allargare il campo d’esplorazione.
Teatro di quest’avventura creativa è il microcosmo in cui Cristina si trova ad operare. Oltre al suo stesso corpo, che lei fotografa in ospedale, la riconquista di uno spazio vitale, degli oggetti, della luce, dell’aria, dell’acqua, di minimi aspetti di vita mostra una ricchezza d’immagini tanto più insospettata quanto più nascosta. Qui lo stesso macro-obiettivo, creato per l’indagine ravvicinata, pare rifuggire dalla bella immagine naturalistica, come a disdegnare la freddezza del distacco scientifico. È come se Cristina si rifiutasse di trovarsi tutta al di qua dell’obiettivo, come se divenisse essa stessa parte dell’oggetto, specchio di vita e perciò di sé. In tal senso ogni fotografia è destinata a diventare un autoritratto. L’obiettivo fotografico di Cristina non si tramuta mai, nemmeno metaforicamente, nello spillo dell’entomologo che infilza la farfalla: lei stessa è la farfalla. Così pure la natura morta, come la foglia d’autunno caduta, rinsecchita, bacata, non si connota come vanitas: diviene ricerca di vita.
Questa mostra, invece, ci porta all’intimità nascosta del mondo vegetale del giardino, al cuore dei tulipani, delle strelizie, delle pensées. Ancor più che figure o segni, ben oltre ciò che ci mostrano, queste fotografie sono in sé, intrinsecamente, atti di vitalità, ritorni alla vita in stato di grazia. Ci recano lo stupore di rinascere, ci insegnano la meraviglia di ciò che è sempre presente, ci conducono, non senza turbamento, a riconoscere il miracolo di una sensualità vegetale ubiqua e prorompente, che ci sorprende ora timida ora impudica.

Lionello Gennero

Credits: Cristina Pennacchio