Pons Sefora

Sefora Pons cresce a Massello, un piccolo paese delle Alpi piemontesi in Provincia di Torino. Il rapporto con il luogo d’origine è intenso: «Non so se tra i boschi della mia infanzia trovo davvero ispirazione – riflette – quel che è certo è che non posso starne lontana troppo a lungo. Ritornare è un bisogno». Dalle origini valdesi Sefora eredita il senso di ribellione tipico di un popolo perseguitato per secoli e lo sfrutta per raccontarsi in modo originale e diretto attraverso la sua arte.
Una voce non convenzionale e di rottura nel panorama artistico del surreale. Nonostante una vita intensa, a Sefora l’ispirazione arriva ancora quasi per magia: «Spesso le idee nascono mentre dormo. Vedo l’immagine e la realizzo. A volte i concetti mi girano in testa anche per anni ma devo aspettare quell’illuminazione notturna per renderli concreti». Un mondo a metà tra i boschi dei ricordi d’infanzia e un Giappone onirico, la cui cultura influenza l’opera dell’artista.
E che si tratti di disegni, quadri ricamati o di ceramica, per Sefora: «Nonostante la tematica possa sembrare a volte un po’ cruda vorrei far star bene le persone attraverso la mia arte. I miei lavori mi rappresentano. E quando me ne separo dono una parte di me».
Sefora Pons è inserita nel contesto europeo degli artisti del surreale; ha esposto i suoi lavori a Parigi, Milano, Torino, Los Angeles, Montreal.

Come nelle fiabe di un tempo, nel lavoro dell’artista si mescolano realtà, immaginazione, e aspetti strazianti. Con delicatezza Sefora Pons rappresenta la vita e la consapevolezza della fine. Un momento naturale, inevitabile, che si può raccontare e non nascondere se lo si sa fare con dolcezza e attenzione.
Nelle bambine aperte, come in un’autopsia e con gli organi a vista, nelle figure infantili a occhi chiusi avvolte dagli animali c’è la rappresentazione del confine sottile tra vivere e morire, del rapporto simbiotico di un essere che non può fare a meno dell’altro per sopravvivere; «Forse l’idea nasce dai miei amori, dai miei famigliari senza i quali non credo riuscirei a vivere».
Materiali poveri e di recupero come legno, imballaggi, pagine di libri antichi, argilla, plasmano il difficile rapporto che l’uomo ha con l’ambiente che lo circonda, due anime incapaci di capirsi fino in fondo ma che non possono esistere separate. Oggetti riciclati trovano nuova vita grazie all’arte, creano narrazione: «Si può realizzare un’opera anche senza una vera tela, spendendo poco. Lo faccio per scelta. Qualcuno può pensare che così l’oggetto sia più povero, a me sembra che così la mia arte sia più utile e abbia più significato».


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Credits: C. Bruno