Visage

Gabriele Garbolino Rù

La fisionomia artistica del nostro tempo è certamente caratterizzata da una singolare riscoperta dell’iconicità, una sorta di novello “ritorno all’ordine”, un “figurazionismo” inedito ed originale che nulla ha a che fare con le precedenti ricerche figurative degli anni Venti e Cinquanta del Novecento, ma che conserva in sé il senso delle più originali ricerche condotte nell’ultimo trentennio del secolo, dall’Arte Povera alla Concettuale. A questo proposito torna prepotentemente attuale il pensiero di Vincenzo Gemito secondo il quale la cognizione del passato – ma direi anche la riflessione sulla tradizione – è condizione imprescindibile per creare un capolavoro, inteso come qualche cosa di potentemente nuovo ed attuale.
Gabriele Garbolino esprime al meglio tale concetto. Grande e sicuro modellatore, colto e fascinoso compositore di immagini, il giovane scultore ha radicato la sua ineccepibile contemporaneità con la conoscenza della scultura antica e con la sua profonda comprensione, dimostrando nei fatti che in questo torno d’anni, dopo lunghi decenni di installazioni e assemblaggi aniconici, per i quali persino la definizione di “scultura” era negata o preclusa, il ritorno alla figura permette di avviare fondamentali riflessioni su quelli che per tradizione sono i “generi” espressivi di quest’arte nobile; dal monumento celebrativo a quello funerario, dall’opera di soggetto religioso sino al ritratto. Generi che Garbolino ha già affrontato e praticato con esiti inattesi e dirompenti, squadernando capacità manuali – da tempo desuete – impiegate sulla via che porta alla contemporaneità anche per tramite di tagli compositivi insoliti, materiali non tradizionali e suggestioni neo-concettuali.
Il contemporaneo ritorno all’immagine dell’uomo, ai suoi valori positivi, ma anche agli aspetti negativi, evidente nei più accorti esponenti di questa generazione di scultori, possiede, a mio avviso, uno speciale significato simbolico che affonda le proprie radici nel tempo in cui viviamo. È un’introspezione certamente psicologica dettata dal fatto che, forse, nessun’epoca è più consapevole della nostra delle contraddizioni esistenti e delle profonde crisi in atto. Del resto, come sosteneva Costantin Brancusi, lo scultore non deve essere un semplice riproduttore delle apparenze, ma un pensatore, quasi un filosofo che esprime il suo tempo con pensieri plastici, tridimensionaliAnche in questo Gabriele Garbolino è certamente esemplare, la sua singolare ricerca sul volto e sulla figura, tendenzialmente frammentate o ingigantite in scala monumentale, realizzate in marmo, bronzo, ma sempre più spesso in algido alluminio, in ghisa pesante o in ferro acidato, tendono a trasfigurare i soggetti in una dimensione “altra”, parallela e simbolica fortemente suggestiva, ma allo stesso tempo elegantemente destabilizzante….
La scultura, scatena le parole e la fantasia, e per chiudere con un aforisma di Arturo Martini – Il mito è un fenomeno plastico: prima la scultura e poi la poesia.

Alfonso Panzetta


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Credits: Archivio Gabriele Garbolino Ru