La fotografa Anna Maria Colace, artista rappresentata dalla Galleria, parteciperà alla mostra collettiva Storie a Scatti: Fotografe a cura di Maria Francesca Frosi e Dionisio Gavagnin, allestita presso la prestigiosa Barchessa di Villa Giovannina a Carità di Villorba (TV) dal 5 novembre al 18 dicembre 2022.
La mostra raduna importanti protagoniste delle arti visive dal dopoguerra ad oggi, come omaggio allo sguardo al femminile attraverso l’esposizione di 100 fotografie originali e vintage tra cui immagini di Tina Modotti a Gerda Taro, da Lisette Model a Diana Arbus e artiste, da Gina Pane a Marina Abramovic, da Ketty La Rocca a Sophie Calle.
INFO
5 novembre – 18 dicembre
lun-ven h.16-20
sab-dom h.10-20
Barchessa di Villa Giovannina, Carità di Villorba (TV)
Storie a Scatti: Fotografe
Testo di introduzione alla mostra
Fino al 1700 sono rari i casi in cui la donna può esercitare liberamente le proprie capacità artistiche, sottoposta alle dinamiche di un mondo che la rilega alla vita domestica e al suo ruolo di madre. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, con gli uomini impegnati a combattere al fronte, il mondo dell’industria è alla ricerca di manodopera e apre le porte delle fabbriche alle donne. È il lavoro salariato che permette alla donna di uscire dalle mura di casa e ottenere quell’indipendenza economica che, con l’accesso all’istruzione, è colonna portante sulla quale la donna edificherà, non senza ostacoli e difficoltà che durano tutt’ora, la propria figura moderna: una persona libera di esprimersi anche in campi sino ad allora preclusi.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, un numero crescente di donne inizia a misurarsi con le professioni intellettuali e con gli strumenti della cultura e dell’arte. Le donne si avvicinano alla fotografia e alle arti visive, iniziano ad esprimersi in campo culturale ed artistico, scavando in un mondo dominato dalla cultura maschile, trovano motivi di critica e di contestazione, manifestando una diversa sensibilità, un diverso modo, femminile, di concepire e di vivere il mondo. La produzione artistica femminile si distingue da quella maschile per una specificità determinata da una sensibilità distinta per ragioni di natura, di cultura e di ruolo societario. Da un lato la donna è influenzata dal suo essere madre, che la rende empatica e sensibile alla sopravvivenza e al benessere umano nel mondo, vera e propria missione, donazione ai limiti del sacrificio, amore e cura della specie.
Un modo di vedere il mondo che si concretizza nel ‘900 grazie ad una maggiore maneggevolezza delle attrezzature fotografiche, che permette a numerose donne di dedicarsi alla fotografia. Emerge la poetica femminile dell’empatia: fotografie e opere d’arte che si distinguono per uno sguardo particolare, amorevole nei confronti dell’umanità. I temi sono gli stessi della fotografia documentaria e sociale ma l’occhio femminile che vede e seleziona il soggetto è vellutato, commosso, ed il soggetto emerge dall’immagine come avviluppato da un pathos particolare frutto di una pìetas che sembra comprendere, proteggere, amare. Bambini, famiglie, amici, costituiscono uno dei soggetti più frequentati della fotografia femminile dell’empatia: tema frequente in Dorothea Lange, Lisette Model, Denise Bellon, Germaine Krull, Gerda Taro, Eva Besnyő, e, nel secondo dopoguerra, in Diane Arbus, Lisetta Carmi, Zofia Rydet, Alla Esipovich. Empatia umana che si ritrova anche nelle immagini di violenza, di guerra, di emigrazione, di paura di fotografe reporter come Letizia Battaglia, Christine Spengler, Françoise Demulder o di artiste come Yto Barrada.
Un più universale e onnicomprensivo sentimento di empatia è invece quello che alimenta la creatività di artiste come Tina Modotti, Anne Biermann, Gina Pane, Barbara Leisgen, Roni Horn, Catherine Opie, Paola De Pietri. Attraverso il loro sguardo il paesaggio si trasforma in territorio, nello spazio aperto ed amico di un’umanità finalmente liberata da costrizioni, confini, conflitti.
Il secondo tema dominante della fotografia al femminile riguarda l’identità della donna nel contesto societario. Il percorso di emancipazione non poteva che partire dalla denuncia dello stato di subordinazione al quale era costretta, per poi cercare in sé, e talvolta nel collettivo femminista, gli elementi di una diversa soggettività: la conquista di un proprio ruolo nel mondo.
Alcune artiste fotografe ci introducono in questo processo, a volte esaltante e altre volte doloroso, di ricerca della propria identità, tra gli ostacoli di leggi, abitudini e principi morali di una civiltà dominata da una cultura maschile, difficile da scalfire. Che si tratti di una sofferta introspezione ai limiti del sogno o della follia, come nelle foto di Grete Sterne, Francesca Woodman, Ketty La Rocca, Katharina Sieverding, Sophie Calle, Nan Goldin, Maria Michałowska, Teresa Tyszkiewicz; o del rapporto uomo-donna nei suoi risvolti sessuali e di potere, come in Olga Spolarics (Atelier Manassé), Valie Export, Marina Abramović, Verita Monselles, Odinea Pamici, Renate Bertlmann, Natalia LL, o, infine, nella denuncia dei ruoli minoritari e stereotipati, o di comportamenti “alla moda”, a cui la donna viene costretta da leggi maschiliste e dal mercato, come in Cindy Sherman e Gretta Sarfaty, le loro immagini colpiscono l’osservatore per un radicale rifiuto della figura tradizionale di donna e per il loro carattere provocatorio, oltre che per una toccante aspirazione ad una condizione di piena realizzazione della persona. Lato, quest’ultimo, della loro arte che in qualche modo chiude il cerchio della poetica al femminile e che ci fa concludere che empatia e ricerca di una nuova identità di genere siano, in realtà, le due facce della stessa medaglia.
Anna Maria Colace – Visioni: Bolle, 2016