Anna Maria Colace


Nata a Parghelia (VV) Anna Maria Colace si trasferisce a 18 anni a Firenze dove studia e si laurea in Scienze Forestali e Ambientali, oggi vive e lavora a Torino. Prima di fotografare Anna ha imparato a guardare perché si sa che non si deve imparare a fotografare ma a vedere, il fotografare viene di conseguenza. Questa forma di educazione allo sguardo, che ha appreso e poi regalato all’osservatore, è nata da un attento percorso da autodidatta. Grazie al suo occhio scientifico e la sua attitudine da botanica ha contemplato e osservato la natura da vicino con sguardo fotografico, come quando senza macchina fotografica si inquadra la scena con le dita. L’innata espressività artistica, che ha sempre esercitato con l’immaginazione, trova la sua piena rivelazione nella fotografia a partire dal 2007. La rappresentazione di paesaggi naturali è sicuramente uno dei temi che emerge con grande forza dal suo lavoro, iniziando a fotografare prima nel suo paese d’origine e poi per estensione in ogni luogo che vive e visita. Partecipa a mostre personali e collettive e riunisce attorno a sé una fitta community attiva in rete.


Visioni Oceaniche
di Giuseppe Cicozzetti

«La vita» ha scritto Paul Claudel «è una grande avventura verso la luce». Noi sappiamo che la luce non è mai neutra, né è mai uguale a se stessa: la luce ama lasciarsi interpretare: ora è morbida, dopo è violenta, più tardi è aspra per poi farsi sensuale, poi ancora onirica; e sull’uomo e su ogni sua cosa sospende indizi di enigma: la luce suggerisce visioni. L’indecifrabile esperienza umana galleggia nel bagnasciuga d’un mare eletto a metafora, all’incrocio di elementi che sembrano lottare per la supremazia. Di mezzo, in questa contesa senza fine, c’è l’uomo. La luce, si è detto, suggerisce visioni. Proprio queste visioni, proposte in forma d’abbozzo, è il territorio esplorato da Anna Maria Colace. Ogni immagine di “Visioni Oceaniche” ha in sé l’embrione d’un senso che altro non attende che essere rivelato, e che colpisce l’immaginazione dell’osservatore il quale presto comprenderà come i soggetti, benché immersi nello spazio naturale, cerchino di definire un rapporto con se stessi. Ma il mare incombe, e così la luce ed entrambi giocano un ruolo fondamentale nella trasmissione di ricordi non ancora divenuti memoria. I bagnanti di “Visioni Oceaniche” sono figure che tentano di dissipare l’ordinario quotidiano per condurlo nelle spire della poesia. Anna Maria Colace arresta il momento senza calcoli: tutto ciò che concerne la composizione è già lì davanti ai suoi occhi pronto per essere catturato; ed è dunque questo un primo segreto, una cifra che ne distingue il linguaggio: la distanza dal momento decisivo a vantaggio della composizione. Quello che si dispiega tra lei e l’obiettivo non è solo un’umanità obbediente all’equilibrio formale della composizione, questo sarebbe un accumulo di corpi, è un insieme di anime che si cercano. Talvolta si trovano in inquadrature che resistono alla tentazione di una svolta neo-romantica, più volte le troviamo assorte e pensose ad assorbire la porosità di un aria colma di salsedine; altre – e sono le più benvenute – sembrano collocate come in un miraggio dalla distanza indefinita: donne, uomini, bambini sono tutti lì, a poca distanza l’uno dall’altro, eppure ognuno sembra impegnato in una solitudine che sa di raccoglimento. I soggetti di “Visioni Oceaniche” sono immersi in una specie di luce liquida che li rende diversi e sospesi, dolcemente rassegnati a lasciarsi raccontare. L’intimità è rotta, una tempesta di luce l’ha travolta. Le anime sono sorprese al crocevia del loro destino, silenziosamente, come si addice alle cose che posseggono un valore e ancora vogliono custodirlo.