Dove nasce l’ispirazione

I taccuini di Alice Serafino

I taccuini d’artista sono prima di tutto storie. Storie che ne rielaborano altre già accadute, e che ne generano, a loro volta, altre ancora. 
I taccuini di Alice Serafino raccolgono appunti, pensieri, libere associazioni di idee, disegni, frasi della quotidianità. Descrivono un paesaggio emotivo che si fa sempre più intimo, mettendo a nudo la personalità di Alice. Ci raccontano di lei, della sua storia. 

Una storia fatta di tante prime pagine bianche che Alice segna con il fondo di caffè o con un graffio di acquerello, come rito di iniziazione. Perché bisogna sporcare le pagine per cominciare a sporcarsi le mani. Anche un vecchio manuale di matematica diventa la sponda su cui appoggiare la sua creatività e, disegnando su pagine già scritte, raggira il blocco del foglio vuoto e lo trasforma in un personale bloc-notes.

Una storia che risale al 2011, al suo primo taccuino e che continua tutt’ora con svariati quaderni dalla copertina nera, veri e propri scrigni di vecchie e nuove idee conservate con cura.

Il punto di partenza del suo lavoro è l’osservazione della realtà, perché l’attività del disegno è esperienza di contemplazione, attraverso l’esercizio di stare dentro le cose, ma sapendole guardare dal di fuori.
Lo studio continuo e appassionato le permette di acquisire una padronanza tecnica frutto di una quotidiana e paziente sperimentazione, che si esprime attraverso motivi decorativi seriali. 
Una ricerca artistica che si fa poetica, caratterizzata dalla selezione dei materiali e dall’esperienza di nuovi linguaggi, in un continuo equilibrio tra la volontà di rappresentazione e il desiderio di pura espressione. 

Alice sperimenta nei suoi taccuini elementi che non sono solo figurativi, ma anche espressivi e descrittivi, come il colore. Il gioco di saturazioni e diluizioni crea vere e proprie alchimie d’artista.
E così, si avvicina a un’altra tecnica di rappresentazione, che diventa motivo d’ispirazione per tutta la sua nuova produzione artistica: l’acquerello, ovvero la macchia che diventa poesia. Le macchie di colore, nel loro insieme, danno vita a una sorta di arcipelago, una piccola geografia acquosa sorta per emanazione attorno alla punta del pennello.

Alice studia le pozze d’acquerello come materia pittorica, in un continuum tra casualità e controllo della casualità, in fondo il malriuscito è funzionale al suo lavoro. Quelle che ottiene, sono immagini che mutano in modo imprevedibile, conducono dove porta la goccia e lentamente si disperdono in nuvole blu, fino a velare il foglio di un cielo livido. Perché in fondo Alice continua a prediligere, anche in pittura, il blu di Prussia delle sue cianotipie.
E studia gli effetti di variata intensità del colore che crea le ombre, corrode la materia, tingendo diversamente volumi e superfici. Il risultato è lieve, eppure persistente, leggero quasi a conservare il carattere aereo della carta e la volatilità dell’ispirazione.

Alice è capace di introdurre nei suoi taccuini il granello dell’invenzione, che lascia sedimentare fin quando l’idea non è matura, come se idealmente avesse seminato nel tempo in un terreno che ora produce.

E Alice la troviamo lì, a consegnarci un dono come custode alla fine dell’arcobaleno.