Articolo estratto da L’Eco del Chisone – a cura di Tonino Rivolo (n.34, 9 settembre 2020, pag.3).
Daniele Galliano ritorna ad esporre a Pinerolo e si racconta fin dagli inizi bohémien
Daniele Galliano sabato 12 settembre, alle 18, inaugurerà la sua personale nella Galleria Losano, in via Savoia 33 a Pinerolo.
Sarà un evento di grande rilievo con il quale questo luogo espositivo vuole celebrare i 40 anni di attività.
Originario di Dubbione di Pinasca, Daniele Galliano ha portato le sue opere in varie parti del mondo ed in alcuni dei luoghi più prestigiosi per le arti visive: da In Arco a Torino a Cannaviello a Milano, da Annina Nosei a New York all’Abbazia di San Gregorio a Venezia. Oltre alla Biennale di Venezia sulla stessa Laguna, per la 53a edizione nel 2009.
Un cammino in costante ascesa che ha portato Daniele lontano, ma che non gli ha fatto dimenticare da dove è partito. Come dimostra adesso la mostra alla Losano, presentata da Angelo Mistrangelo.
In dialogo con lui affiorano i ricordi del passato, insieme alle riflessioni e alle ansie di oggi.
Che sapore e che significato ha per te questo tuo ritorno in mostra a Pinerolo?
Tanti bei ricordi legati al mio studio in via Assietta a Pinerolo, che mi fu segnalato da Giancarlo Gentile. Lui aveva il suo pensatoio all’ultimo piano, dove erano di casa artisti, musicisti, liberi pensatori… Il mio studio era la ex stalla dei cavalli al piano terreno, era “bohemien”. Il flusso di visitatori aveva due sbocchi culturali in quell’edificio: se avevi problematiche musicali salivi da Giancarlo, se le problematiche erano di tipo artistico
bussavi da me al piano terra. Divennero frequentatori abituali del mio atelier Luisa Perlo, Carlo Galfione e Paola Garis. Furono loro, insieme a Giorgio Badriotto che veniva spesso a trovarmi, a spingermi a far vedere i miei lavori a Torino.
Il primo passo era compiuto.
Feci una mostra-festa inaugurale dello spazio e poco tempo dopo conobbi Giuseppe Misuraka, che mi presentò a Francesco Poli, il quale mi inserì nel ciclo annuale delle mostre al Centro culturale Franco Antonicelli a Torino. Da lì partì la mia avventura artistica in serie A. Ebbi ancora l’onore di ricevere Luca Beatrice in via Assietta, con il quale iniziò un sodalizio fruttuoso che culminò con la mia partecipazione alla 53° Biennale di Venezia. Entrato nel mondo dell’arte e del collezionismo italiano fu inevitabile il mio trasferimento a Torino.
Le tue mostre passate nel Pinerolese, dalla tua personale alla galleria ES in Pinerolo nel 1992 a quella nell’abbazia di Cavour o all’Arte nel mistero cristiano ancora nel capoluogo, segnano tappe significative del tuo percorso artistico in continua ascesa … Che ricordo hai in particolare di quella di esordio?
Dopo la mostra all’Unione Culturale Bruna Giacobino, che aveva aperto da poco una galleria in via Vescovado a Pinerolo, mi chiese una mostra. La mettemmo in cantiere per la primavera, il catalogo avrebbe dovuto avere un te- sto di Maurizio Corgnati che era stato il mio primo importante sponsor. Ricordo ancora quando entrò con il bastone, accompagnato da Letizia, all’Unione Culturale e diede il la alla vendita delle opere, comprando quattro tele. La mostra fece “sold out” quella sera stessa. Purtroppo Maurizio ci lasciò pochi mesi dopo, ma credo ci abbia benedetto da lassù… Infatti la mostra alla galleria ES andò molto bene, ma anche Bruna dopo un po’ preferì trasferirsi a Torino.
Anche per lei la “provincia” era diventata troppo angusta. Succede spesso che le città che hanno una storia importante alle spalle facciano un po’ difficoltà a vivere la contemporaneità. Un grande lavoro in questo senso aveva iniziato a farlo Enrico Pettigiani in En Plein Air, ma purtroppo sul più bello, quando la sua cominciava a diventare una galleria di peso in Italia, ci lasciò…
Da quel tuo inizio ad oggi è stato un crescendo: te lo attendevi, ci speravi o è stato un cammino anche per te sorprendente?
Tutto è successo improvvisamente. Dopo la mostra all’Unione Culturale iniziai a collaborare con la Galleria In Arco di Torino, Cannaviello a Milano, Annina Nosei a New York. Carlo Monzino di Milano, il più importante collezionista italiano, si interessò a me fino a dedicarmi una mo- stra all’abbazia di San Gregorio a Venezia. Poi Lucio Dalla, Luca di Montezemolo, Bulgari, Val Kilmer e tanti altri. Fu inaspettato, sì, e anche difficile da gestire, per chi come me amava allo stesso tempo an- dare a cena con Bulgari e poi organizzare una mostra benefit per Radio Black-Out.
Tu sei l’esempio che anche partendo dalla “periferia” si può puntare molto in alto, pure in un campo difficile come l’arte. Qual è stato il segreto per riuscirci?
Dopo il Padre Nostro che diceva “come in cielo così in terra”, venne Giovanni Lindo Ferretti il quale ci insegnò che l’Emilia poteva essere il centro del mondo, quindi anche Dubbione di Pinasca poteva esserlo. Niente è impossibile, l’importante è credere in quello che fai.
Torni volentieri nel Pinerolese? Resta il tuo luogo del cuore?
Torno poco ma sempre volentieri. Mi piace scorrazzare per la Val Chisone, è per me una via dei canti, è come recitare il Rosario.
Tu con Sciaraffa il 29 agosto a Rorà? Un’attenzione particolare anche alle piccole realtà o un gesto di amicizia?
Nel piccolo c’è il grande.
Sei cambiato dopo la clausura da Coronavirus o no? La tua arte, dopo questa dura esperienza, subirà dei cambiamenti?
Sono abituato a lavorare da solo. Vedere poi gli eventi che non c’erano più, le mostre che saltavano, la popolazione telecomandata, ha fatto sì che si rafforzasse la mia propensione alla solitudine.
Venendo alla mostra alla Losano, “Self-aggregation” sembra cozzare contro le regole della pandemia ed esaltare gli assembramenti. Si tratta di opere certo fatte prima, ma esporle ora sembra quasi un’idea sospesa tra la trasgressione, la sfida o l’auspicato ritorno alla normalità.
Stavo scrivendo le mie memorie, che sono poi un esercizio di ricapitolazione, come suggerisce di fare Castaneda al fine di rafforzare il nostro corpo astrale, per la vita dopo la vita. Rivivendo il 1981, quando Pier Luigi Losano mi convocò nella sua galleria per conoscermi meglio, all’improvviso squilla il telefono: era Patrik Losano, suo figlio, che mi chiedeva un appuntamento in studio per parlare della possibilità di fare qualcosa insieme per i quarant’anni della galleria.
Una coincidenza di empatia a distanza.
Ho imparato a prestare molta attenzione alla sincronicità. Ho invitato Patrik in studio e ho accettato la sua proposta di presentare una serie di lavori nella sua galleria. In questo momento nel quale tutti ancora sono combattuti ed impauriti nell’affrontare la vita e nel riprendere le nostre attività, mi è piaciuta l’idea di portare questi lavori a Pinerolo.
Molti tuoi dipinti del passato da te postati sui social sembrano quasi anticipare visivamente e profeticamente quanto sta succedendo, tra timori e drammi.
Ho raccontato con le mie opere la vita in molte delle sua sfaccettature, con grande partecipazione emotiva, che è la chiave del mio rapporto con le immagini. Mostrarne una al giorno con i miei post è stato un modo per comunicare il mio amore per la vita, così come l’avevamo conosciuta, nel momento della sua sparizione.
TONINO RIVOLO
L’Eco del Chisone, n.34, 9 settembre 2020 (pag.3)
Ringraziamo L’Eco del Chisone e Tonino Rivolo per l’intervista e la gentile concessione.