Kandinskyana

di Gabriele Perretta

Senza il mare, la sabbia è perfetta, ma di una perfezione astratta. Allo stesso modo l’idea di un passaggio fotografico si poggia su un sistema segnico – come può esserlo una dunetta della spiaggia – per poi superarlo. Come dire fotografia e visione concreta, dettaglio naturale nella logica costruita. Ma il marchio, la traccia concreta del paesaggio, non è più solo un codice semantico applicato.

È la fotograficità che esprime la cultura artistica, sia di chi lo realizza che di chi lo osserva. Se penso che il marchio espressivo delle foto di Paola Mongelli è un particolare caso di concrezione fotografica, che aggiorna i suoi tagli (concreto= astratto/astratto = concreto) in base alla ripresa sulla sabbia, trovo che essa rappresenti perfettamente il vedere flessibile e disomogeneo dello sguardo fotografico contemporaneo. I luoghi di questo sguardo, tuttavia, appaiono spesso oscurati dalla moltiplicazione di canali informazionali dell’immagine, sempre più associati a forme espressive senza contenuto.

La ricerca di Paola Mongelli sembra che sia stata concepita proprio per contrastare tale tendenza e per fornire, al contempo, un luogo specifico alle varie “attenzioni” (attanziali), che nell’elaborazione fotografica ritrovano la loro dimensione privilegiata. Il ruolo specifico della fotografia che qui si vuole salvaguardare, consiste nel mettere a fuoco quei momenti dell’elaborazione degli strumenti concettuali, indagando le relazioni tra astratto e concreto, studium e punctum, connotazione e denotazione dell’immagine.

Questa esigenza non può essere soddisfatta, se la ricerca fotografica viene omologata a una delle molteplici forme espressive della visualità di consumo! Non si intende, con ciò, rivendicare una sorta di autonomia del fotografico. Si è invece consapevoli del fatto che la fotografia artistica nasce dall’estrinsecarsi di prassi e testualità molteplici ed eterogenee, che vanno continuamente rimodulate. In contrasto con chi, esplicitamente o meno, propone una dissoluzione dello “sguardo fotografico” dei new media o della foto realistica tout court, Paola Mongelli – attraverso questo lavoro riferito a Kandinskij – intende ribadire la contestualità delle nozioni di astratto/concreto, nonché la specificità necessaria dello sguardo fotografico. Proprio per questo, la sua fotografia è stata eseguita con un “obiettivo a sintesi” che, quando l’immagine è a fuoco, ingrandisce i punti di sabbia e gli oggetti e li consegna allo sguardo del fruitore in una compendio kandinskijano! È un’immagine che parla di sé e contemporaneamente dell’oggetto rappresentato, del quale rivela reperti analogici e che si possono guardare, appunto, come grana cromatica infinita. Le conchiglie serbano un segreto e nulla sappiamo di chi le abita: conservano la magia dell’equazione matematica, mantenendo costante il rapporto tra reperto e dettaglio marino e perpetuando all’infinito la propria forma.

Proviamo a comparare l’alfabeto naturale di Paola Mongelli, con la traduzione fotografica del mondo marino degli Ossi di Seppia! Fotografie rettangolari ricche di resti insabbiati, che si srotolano allo sguardo e si addentrano tra conchiglie e sassi, legnetti e materiali bruciati dal tempo. La cosa che colpisce, dentro queste forme geometriche elementari purissime, è l’universo naturale ed analogico che esse rappresentano: la dimensione cosmica che V.V. Kandinskij evidentemente racchiudeva in uno spazio, in un taglio, in uno sguardo volutamente equilibrato, mentale e contemporaneamente tangibile.

La logica strutturale dei residui sabbiosi degli oggetti che diventano sintesi: punto, linea e superficie (1925). Il pensiero di Kandinskij è intriso dell’intuizionismo bergsoniano ed è pronunciato con un linguaggio spiritualista (vedi Lo spirituale nell’arte, 1910), che l’autore espone anche nei suoi scritti, quando parla di necessità interiore. Il problema che si presenta alla fotografia concreta, dopo la riflessione di Kandinskij, è se la forma e il colore e se gli oggetti ritrovati nello spazio della vita quotidiana e del paesaggio sociale, liberi da ogni impegno di rappresentazione, possano articolarsi in un linguaggio simbolico (o semisimbolico). Un semplice lembo di sabbia, un sintetico oggetto della natura, due o tre elementi “ritrovati”, possono servire molto bene a verificare la validità dei risultati raggiunti nelle passeggiate di una fotografa.