L’Angelo Pesante

Come nasce una scultura di Carin Grudda

Un aspetto fondamentale dell’opera di Carin Grudda è il suo rapporto con il bronzo, perché l’arte del fondere diventa parte integrante della sua riflessione artistica.
Un tema caro alla scultrice, ma pressoché sconosciuto al pubblico che ha qui l’occasione di seguire l’artista nella Fonderia Artistica De Carli di Volvera (Torino), per assistere al processo di modellazione di un’opera.

Ogni opera è autobiografica e ci parla del suo artefice: l’Angelo Pesante ci racconta di come Carin cerchi la forma esercitandosi direttamente con la mano, trovando la soluzione nella materia prima ancora che nel pensiero: “Affido il lavoro alle mie mani. Vuol dire che ho in mano delle cose molto più che in testa; la testa ispira, la mano pensa”.
Carin Grudda, spinta da un autentico istinto, in scultura si comporta da autodidatta. Una preparazione informale che all’atto della realizzazione si libera nello spazio di un attimo, il tempo di una posa e tutto è già finito nel momento stesso che accade. È guidata da un gesto innato, forse primigenio e antico quanto l’uomo, che si ritrova in quel fare fanciullesco delle dita nella pasta di sale.

Il bronzo è un materiale dalle molteplici implicazioni tecniche e artistiche. Le prime prevedono la modellazione dell’argilla e la formatura, togliendo alla scultura il suo ingombro e il suo peso, come se le cose pesanti potessero esprimersi soltanto in maniera lieve. Le seconde presuppongono l’eternità, bloccando il gesto delle mani nell’argilla prima della dissoluzione.
“L’Angelo Pesante è davvero pesante, ha una tonnellata e seicento chili sulle spalle. Però ho provato a modellare l’argilla in forma musicale, con leggerezza e movimenti curvilinei, e così le ali assomigliano a tulipani, in un motivo arrotondato che si ripete anche in altri elementi. Qui c’è un piccolo buco per guardare dentro e per far sì che il vento possa soffiare dentro, per far prendere il volo. L’Angelo ha due lati, come Ianos il mostro a due teste dedicato al mese di gennaio e che contemporaneamente guarda avanti e indietro. Mi sono ispirata alla sua iconografia: una testa ha tre occhi, due che vedono e uno che guarda, l’altra testa ha occhi a forma di fiore e un piccolo uomo che contempla la sua massa, come siamo tutti noi di fronte alla grandezza.
A sottolineare il suo peso ho aggiunto una farfalla sulle sue ali.
Mentre modellavo l’argilla pensavo al film “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, in cui sono proprio gli angeli caduti sulla terra a trasformare la vita da bianco e nero a colori; sono angeli pesanti anche loro, perché hanno raccolto il peso del mondo”, ci racconta Carin.

“Il bronzo, questo materiale “eterno” di cui l’umanità si avvale da sempre per raffigurare imperatori, re e principi, vale anche come magia che fa apparire il sorriso sui volti umani quando si comincia a giocarci un po’. Ed esiste cosa più bella di un sorriso? Arrampicati su una scultura, che arriva come uno strano compagno di viaggio, ci si trova già a un millesimo di centimetro dalla superficie della realtà.
Le piazze, le strade che percorriamo spesso e di fretta – c’è ancora chi le percepisce nella loro familiarità scontata?
L’arte è perturbante, nel senso migliore del termine – dal momento che riporta agli occhi le cose trascurate, il “non-visto”. L’estraneo, ciò che non è consueto, è una possibilità che si apre per noi. È un uscire da sé, come piccole fughe in grado di aprire il cuore e lo sguardo a spazi più ampi. È un regalo per chi è disposto ad accoglierlo.
Fermarsi qualche volta, dimenticando se stessi, come accade nel gioco e nell’amore: questo, sì, ferma il tempo per un istante. Ci libera dalla nostra finezza.
Essere senza tempo – anche solo per un attimo – è felicità”.

Credits: Massimo Damiano