Scultura diffusa 2023

3^ Biennale Città di Pinerolo

Incursioni
di Paolo Grassino

7 settembre 2023 – 7 gennaio 2024

Orario di visita Cavallerizza Caprilli (Viale della Rimembranza, 3)
Sabato h 15-18 | Domenica e feriali h 10-12 e 15-18
Orario di visita Galleria Losano (Via Savoia, 33)
Sabato, domenica e feriali h 10-12 e 16-19

L’edizione 2023 ospita l’artista Paolo Grassino con il percorso espositivo Incursioni.

Scultura diffusa è una manifestazione d’arte contemporanea nata nel 2017 con l’esposizione di opere monumentali in luoghi pubblici di particolare interesse culturale, storico e architettonico di Pinerolo, per innescare nuove esperienze artistiche, coinvolgendo tanto lo spazio fisico quanto quello relazionale.

Ogni edizione prevede un percorso artistico in città con la collocazione e installazione di sculture site-specific e una mostra di opere di piccolo formato presso la Galleria Losano Associazione Arte e Cultura per approfondire il lavoro e la poetica dell’artista. 

Scultura diffusa entra nel tessuto urbano e sociale della città grazie all’acquisizione e installazione permanente di una delle opere del percorso per creare nel tempo, edizione dopo edizione, un parco sculture a “cielo aperto” e una collezione d’arte civica. 

L’edizione 2023 ospita l’artista Paolo Grassino, affermato talento mid career della scultura contemporanea, con il percorso espositivo Incursioni, curato da Franco Fanelli, docente presso l’Accademia di Torino e autore, e con la direzione artistica della Galleria Losano Associazione Arte e Cultura. 

Paolo Grassino, affermato mid career della scultura contemporanea, lavora sul confine tra naturale e artificiale, tra precarietà e mutazione.

La ricerca di Paolo Grassino (Torino, 1967) recupera il senso più pieno della manualità, lavora con gomma sintetica e polistirolo ma anche con materiali più tradizionali come la cera e il cemento. È stato docente presso le Accademie di Carrara e Palermo, oggi insegna all’Accademia di Torino.
Nato nell’anno della pubblicazione del «manifesto» dell’Arte Povera, è erede di una generazione che ha modificato i canoni dell’arte installativa per esaltarne il versante drammaturgico,  proprio per la capacità di conservare la potenza del gesto a un tempo pittorico e teatrale. Nel contempo, fa parte di una generazione che si è misurata con i fantasmi di una città industriale, Torino, alle prese con la propria decadenza. Non a caso ha individuato la sede congeniale alla sua opera negli spazi archeo-industriali, ai confini di quella che definiamo arte urbana nel senso più clandestino e trasgressivo del termine. Tracce di tutto questo restano nelle sue sculture, sempre all’insegna di una straordinaria capacità di individuare nella sperimentalità dei materiali utilizzati la potenza anche simbolica in essi contenuta.

Scultura diffusa apre il dialogo con la città, portando l’arte in spazi pubblici e non canonici.

Il nostro Paese è il luogo in cui l’arte contemporanea, per necessità o virtù, ha dovuto e potuto aprire, con un’intensità non paragonabile ad altre situazioni o luoghi, il dialogo con il passato storico e monumentale, con l’antico, con una preesistenza culturale spesso incombente. Non sarà un caso se il primo vero museo d’arte contemporanea italiano nacque in un edificio sei-settecentesco, il Castello di Rivoli. E quando l’opera contemporanea esce allo scoperto e viene collocata all’esterno, il dialogo, si fa, se possibile, ancora più complesso, a fronte di un contesto stratificato e composito.  Scultura diffusa da tre edizioni ormai riapre quel dialogo, portando l’arte in spazi aperti o in luoghi non canonici. 

Con il percorso Incursioni, Grassino riporta al centro della scena l’inquietudine, l’emergenza e la dimensione drammaturgica dell’arte visiva.

Il percorso espositivo Incursioni non ha una partenza, ma un epicentro, la Cavallerizza Caprilli, arena e theatrum in cui il visitatore accede per assistere allo schianto di un aereo da guerra. Magari, varcando il portone della Cavallerizza, scopriremo che forse siamo i superstiti di un disastro: perché al centro della pista, circondata da un eloquente cratere («lo scavo, in fondo, è l’atto primario dello scolpire», ricorda Grassino) sorge una scultura che riproduce lo schianto di un Mig 15 – 2012, l’aereo sovietico apparso nei cieli negli anni ‘50, durante la Guerra Fredda, una temperie cui ci hanno proiettato nuovamente i fatti recenti. Grassino apre così, con un coup-de-théâtre di drammatica magniloquenza, la terza edizione della Biennale. Qui c’è, in chi lo voglia cercare, un elemento di ambiguità e di ambivalenza: un aereo schiantato come un gigantesco mozzicone di sigaretta schiacciato in un posacenere. L’epoca di costruzione dell’edificio e la sua originaria funzione di maneggio per la cavalleria militare sono un irresistibile rimando alle atmosfere dei romanzi di Joseph Roth, narratore di quella Finis Austriae che in realtà era la fine di un’era. Il che porta a inequivocabili associazioni con il presente.
Lo spettatore del «primo atto» della drammaturgia di Grassino si tramuta in attore, con lo stupore dei piccoli uomini che nelle stampe di Piranesi accorrono intorno a quegli affascinanti oggetti spazio-temporali, che erano all’epoca le rovine riportate alla luce dagli archeologi.

Mig 15, 2012, Paolo Grassino – Cavellerizza Carprilli

Gli spazi al piano superiore della Cavallerizza diventano a un tempo ambulacri e retroscena di un deus ex machina che agisce evocando scenari di guerra e tragici memoriali (ecco il «monumento» nella sua primaria funzione di «ammonimento») di tragica attualità. Straordinario regista della sua opera, l’artista ci invita così a osservare lo «spettacolo» dall’alto, ma nel momento in cui lo fa cambia registro. Il tono si abbassa. Dallo shock alla meditazione. Alle pareti, il cemento traforato di due monumentali pannelli scandisce le prospettive urbane e le strutture architettoniche cariate dalla rovina causata dai bombardamenti, opere del ciclo Guerra è sempre (Est e Ovest) – 2018. Se il titolo di queste opere è tratto da La tregua di Primo Levi, l’ineluttabilità del disastro qui evocata rimanda a un celebre verso di Ingeborg Bachman: «La guerra non viene più dichiarata/ma proseguita».

Guerra è sempre (Est e Ovest), 2018, Paolo Grassino – Cavallerizza Caprilli

A terra, dello stesso ciclo di opere, Guerra è sempre (Edificare) – 2018, minimalista, stratificata distesa di mattoni in cemento tramutati in epigrafi. Un memoriale, una carta geografica con i numeri dei morti, paese per paese; una sorta di calendario funebre composto da lapidi di cemento che vicendevolmente si seppelliscono. Infine, il pianto che scaturisce dai calchi in cemento Senza nome – 2021, del volto dell’artista rigato di lacrime in tessuto è commento, riflessione, silenziosa pausa. Mute, dolenti presenze, come da ferite autoinflitte, una violenza che non volendo scaricare su altri l’autore esercita su di sé, da questi volti sgorgano drappi colorati, bandiere arrotolate, annodate e contorte, emblematico riflesso di Guerra è sempre (Edificare).

Guerra è sempre (Edificare), 2018, Paolo Grassino – Cavallerizza Caprilli

Dalla Cavallerizza, che è l’epicentro di questa incursione, il percorso si dirama nel tessuto della città e prosegue all’esterno del maneggio con due personaggi, figure mutanti (uomini-natura) a grandezza naturale, sono le sentinelle e insieme i segnali di quanto accade all’interno. Ci guardano e ci invitano dagli spalti ad entrare, o ad uscire, dall’alto della Biblioteca Civica Alliaudi e da un muro che la fronteggia. Questi strani incappucciati dai cui corpi, come in una variante del mito di Apollo e Dafne, sono germogliati i rami di un albero, potrebbero essere gli spreker, coloro che nel teatro barocco introducevano gli spettatori alla narrazione scenica. E, insieme, ne sono i guardiani. Sono due esemplari di Serie Zero – 2018. 

Serie Zero (B), Paolo Grassino – Cavallerizza Caprilli

Serie Zero (B), 2018, Paolo Grassino – Biblioteca Alliaudi

Altra incursione dell’artista è a San Maurizio, con l’opera Cardiaco – 2006, un gigantesco cuore in alluminio, posto in un luogo a un tempo panoramico e nascosto, davanti al Santuario della Madonna delle Grazie. In questa collocazione, sembra enfatizzare in maniera parossistica il significato sacrificale del soggetto, che diventa Sacré Coeur laico. Un cuore nero, perché, spiega l’artista, «il nero esiste prima e dopo la luce, prima e dopo la materia, prima e dopo il tempo. Il nero è l’opposto della superficie. Il nero è dove niente si riflette ma dove tutto si eclissa. Il nero è più denso di tutte le verità. Il nero è protesta senza bandiere». È un cuore cavo, riarso come un guscio, che non batte ma produce un suono di laica campana se si sollecita il metallo di cui è costituito: le «spire» prodotte dalla fusione, visibili all’interno, rimandano echi, così come un fossile, una rovina, continua a parlarci nel momento in cui sollecita la memoria. Anche il percorso fisico richiesto al visitatore di questa mostra ha una sua pregnanza significante, se non simbolica. L’ascesa a San Maurizio, il culmine della mostra, ci porta in realtà all’immersione più profonda, allo scavo definitivo. Viene in mente la doppia scala a gradini convessi e inclinati verso il basso cui si accedeva un tempo alla Cappella della Sindone di Guarino Guarini a Torino prima che venisse musealizzata. L’architetto aveva concepito un’«ascesa immersiva» e impervia, come scavata nel marmo nero, e chiavi di volta in forma di misteriosi organi pulsanti, per cui il salire si tramutava in un ansiogeno percorso tra visceri pietrificati. Questa duplicità dell’ascendere calandosi nel buio è racchiusa nel cuore nero plasmato da Grassino. E di fronte a quell’opera si apre un bivio.

Cardiaco, 2006, Paolo Grassino – Santuario Madonna delle Grazie, San Maurizio

Ultima tappa dell’itinerario è la mostra presso la Galleria Losano, dove sono custodite altre sculture di piccolo formato e opere su carta, per approfondire il lavoro dell’artista. 

Sulla linea, Paolo Grassino – Galleria Losano

Grassino offre una riflessione sulla deriva della società moderna. Il mito, il simbolo e la guerra.

La Biennale 2023 parla dunque di guerra e di dolore che non diventano spettacolo o puro intrattenimento, ma rito collettivo necessario per una purificazione, e il cuore nero (Cardiaco) deposto a San Maurizio, sembra quasi essere quell’oggetto che da feticcio diventa pulsante offerta sacrificale.
«L’arte non è catarsi, non è una cura, ma un sistema per poter porre delle domande e attendere delle risposte», così racconta Paolo Grassino. Il compito dell’artista è, anche “organizzare”, dare una forma alle emozioni. Grassino ci pone davanti a un bivio: da una parte emergono nei pensieri le parole del romanzo di László Krasznahorkai, Guerra e guerra («C’era solo guerra e guerra ovunque, persino dentro di lui») e l’affermazione di uno dei protagonisti del libro: «Io credo che dopo non ci sia nulla. Solo un grande buio, un grande spegnere le luci e infine viene spento anche quel buio». Il doppio taglio di cui è costituita l’arte, in questa mostra di Grassino, scatta con la precisione di un ordigno ad alta tecnologia: da un lato l’arte del saper narrare, anzi evocare, con gli strumenti, anche, dell’ambiguità: l’aereo accartocciato somiglia a un gigantesco insetto dotato di una sua pelle; è un giocattolo; ha una sua lontana collocazione storica, roba da spy movie, come se la Guerra Fredda fosse terminata da allora. E dall’altro lato c’è la volontà di misurarsi con la tragedia reale, con la cronaca, sfidando il rischio sempre in agguato in questi casi, cioè la retorica del didascalismo o, peggio, l’estetizzazione della violenza. Ma fare arte è anche un’assunzione di responsabilità. Grassino dimostra partecipe testimonianza a un’epoca di sanguinosi conflitti sociali e religiosi.

Un progetto di Città di Pinerolo e Galleria Losano
Con il contributo e il patrocinio di Regione Piemonte
Con il contributo di Fondazione CRT