Visioni Oceaniche

Anna Maria Colace

Prima di fotografare Anna Maria Colace ha imparato a guardare perché si sa che non si deve imparare a fotografare, ma a vedere; il fotografare viene di conseguenza. Questa forma di educazione allo sguardo, che ha appreso e poi regalato all’osservatore, è segno di una raffinata consapevolezza poetica.
Il guardare è un’azione simbolica: è entrare con lo sguardo nelle cose per rispecchiarsi attraverso di esse, è una ricerca del paesaggio interiore in quello esteriore. Un’attitudine mista che combina la ricerca d’identità e la capacità di aderire perfettamente alle cose osservate. 

La rappresentazione di paesaggi naturali è sicuramente uno dei temi che emerge con grande forza dal lavoro di Anna Maria, iniziando a fotografare prima nel suo paese d’origine, Parghelia in Calabria, e poi per estensione in ogni luogo che vive e attraversa durante i suoi viaggi. 

“Visioni oceaniche” è una delle tante serie di fotografie colte sulle coste atlantiche che si affacciano dalle regioni dell’Aquitania in Francia, Paesi Baschi, passando per la Cantabria e la Galizia in Spagna fino al Portogallo.
Sono immagini dalle atmosfere sospese e dagli orizzonti lontani in cui si intrecciano i segni del mare e le tracce dell’uomo. Umani che, con il suo sguardo leggero, vuole vedere contro il cielo, appena sotto l’orizzonte, come monumento alla linea di confine tra acqua, aria e terra. 

L’intensità luminosa è sempre un chiarore che contemporaneamente distingue e confonde i contorni delle cose, immergendo il mondo in una luce diffusa e polverosa. Il sole pare colto in quell’attimo di sospensione in cui sembra arrestare il proprio corso, bloccando la realtà in un’immobilità perfetta. Il tempo tende a scomparire nei suoi scatti ed ogni luogo, ogni spazio risulta parte di un unico presente in cui tutto pare eterno.

Il sole è alle nostre spalle, probabilmente a tre quarti del suo percorso. Non ci sono ombre, per il resto i colori si sfumano. C’è un tal silenzio in queste foto, un tale abbassamento della soglia dell’eccezionale, da permetterci di apprezzare le apparenze per quello che valgono. 

Sulle «Visioni oceaniche» di Anna Maria Colace
di Alessandro Calvi

C’è lo spazio, soprattutto, ed è tanto e senza confini. E c’è una indeterminatezza che è soprattutto estrema libertà. Ecco, di questo, più di ogni altra cosa, sono fatte le «Visioni oceaniche» di Anna Maria Colace: sono fatte di libertà.
La sua libertà, certo, e dunque la possibilità – come fotografa – di impastare una certa vaghezza con la realtà, dando così al paesaggio una forma nuova. E, però, nel farlo riesce a liberare anche lo sguardo di chi le sue fotografie le guarda.
Chi osserva queste immagini facilmente ha la sensazione di galleggiare su una distesa sconfinata di bianco che è sabbia, è cielo, è acqua; e ogni elemento in queste fotografie pare inseguirsi, ma resta impalpabile. Eppure, non per questo quel paesaggio racconta un’assenza, né racconta un silenzio.
Nel girovagare in uno spazio che a una prima occhiata si sarebbe detto vuoto, ci si imbatte infatti in una moltitudine di figurine umane le quali punteggiano il bianco della sabbia con tutti i colori che ogni estate ci consegna: i rossi, soprattutto, ma anche i gialli, i blu i verdi, l’arancione, l’azzurro; e ogni elemento è lì a formare un infinito, minuto catalogo di forme, strisce e quadri incisi nei costumi, sulla tela degli ombrelloni e anche sulla facciata dei palazzi che a volte incombono fin sull’acqua del mare.
Sono lì, anch’essi avvolti da una certa vaghezza, come stanno certi dubbi nella vita di ognuno, e come certe grandi domande che di tanto in tanto emergono dal nulla in ciascuna persona sul proprio destino, come dal nulla paiono emergere in queste fotografie case e persone.
C’è insomma una evocazione continua, più che una presenza consolidata, così come piene di dubbi – incerte e traballanti – paiono starsene anche quelle figurine umane, a causa dei loro contorni sfumati. E siamo noi quelle figurine, siamo noi con le nostre domande, in uno spazio bianco sconfinato che proviamo a riempire, costruendo la nostra esistenza.
Tuttavia, poiché ogni cosa resta incombente e impalpabile, l’occhio continua a vagare sciolto, persino senza regole, e cerca ancora. Ed è soprattutto in ciò, in questo continuo cercare libero tra forme e colori che pare un’esistenza, che sono il piacere e la bellezza di queste fotografie.

Alessandro Calvi

Credits: Archivio Anna Maria Colace