Francesco Tabusso, classe 1930, torinese per ascendenza e per tutta la vita, nasce alle porte di Milano, a Sesto San Giovanni, dove all’epoca la famiglia si trasferisce al seguito del padre ingegnere.
Manifestata precocemente la passione per la pittura, consegue la maturità classica prima di intraprendere un rigoroso apprendistato sotto la guida di Felice Casorati. Lontano dall’essere un epigono, a scuola dal celebre insegnante, Tabusso coltiva l’amore per il mestiere e il ragionamento sui maestri antichi, ereditando da Casorati la capacità di trasfigurare il reale, di restituirne la dimensione incantata, fuori dal tempo, in una sorta di “realismo magico” dai toni di fiaba del tutto personale. Eleggendo soprattutto a soggetto un mondo agreste d’ispirazione anche popolare, egli manifesta fin dall’inizio un’autentica “vocazione al racconto”, che lo porterà a felici collaborazioni con alcune delle firme più note della letteratura italiana del ‘900, quali Piero Chiara, Dino Buzzati, Mario Soldati, Mario Rigoni Stern.
Il 1954 è l’anno dell’esordio espositivo e della prima partecipazione alla Biennale di Venezia. In breve l’artista è invitato alle principali rassegne nazionali e internazionali, riscuotendo numerosi premi-acquisto nell’ambito delle mostre a concorso che si moltiplicano nel secondo dopoguerra, per incrementare le raccolte civiche d’arte contemporanea.
Dal 1963 al 1984 egli affianca alla pittura l’attività didattica: insegna ornato al Liceo Artistico di Bergamo, quindi figura al Liceo dell’Accademia Albertina di Torino. Sempre dal 1963 Tabusso collabora con la Galleria Gian Ferrari di Milano, che ne cura per circa un trentennio l’attività in esclusiva, organizzando in quegli anni più di sessanta personali dell’autore in Italia e all’estero.
In virtù di un’arte che ha da sempre celebrato l’uomo e la natura con immediatezza e forza espressiva – con il dono della “semplicità” –, egli è chiamato a realizzare nel 1975, per la Chiesa di San Francesco al Fopponino di Milano progettata da Gio Ponti, la monumentale pala d’altare Il Cantico delle Creature (96 m2 di pittura) e successivamente gli otto trittici con le storie del Santo.
Tabusso muore a Torino nel 2012 dopo circa sessant’anni di infaticabile attività artistica.
Veronica Cavallaro
Continua a raccontare Francesco Tabusso le sue stagioni, con la stessa allegria venata da una indissolubile crudezza. E lo fa all’aria aperta, in quella campagna che è il suo motivo conduttore. Una natura che sa di neve e primavera, che acceca di bianchi e incendia di rossi e gialli. C’è una danza continua nelle sue stagioni, una quotidianità, umana e animale, che si muove, mostrando nella gioia e nella fatica, sempre un’idea di movimento elegante, sinuoso. È l’occhio del pittore che asciuga, gli spigoli esistenti, per evidenziarli e nello stesso tempo per sottolineare una gioia che ha dell’eterno. La malinconia, la fatica il destino stretto, lo chiude in certe vedute di paese, con case grigie, arroccate, a cui fanno da contrappunto improvvise sale da pranzo sgargianti di colori come fossero mercati, o teatri in cui stipare tovaglie, ritratti, piatti, sedie_ oggetti scelti con cura ma per ottenere un effetto di “confusione”, di abbondanza eccessiva.
Animali dall’occhio mobilissimo, uomini e donne in attesa: i personaggi di Tabusso attraversano le sue tele trascinandosi voli e salti precedenti, corteggiamenti e innamoramenti. È una vita non irrequieta ma attiva, che conosce la dolcezza e la continua pericolosità della terra, del luogo, come se avessero sempre degli occhi, altri occhi, puntanti addosso. Come se al margine del bosco, o della tela, ci fosse sempre qualcuno a spiarli con invida o benevolenza. E loro si muovono, sentendo lo sguardo estraneo, giocandoci, rendendolo amico o sfidandolo.
Nico Orengo