Non c’è fretta nel mondo dipinto di Francesco Maiolo. La vita delle persone e della natura nei suoi quadri scorre lenta. Non per pigrizia o per noia, ma per assaporare il gusto pieno dei gesti e dei riti. I movimenti sono composti, i dialoghi garbati, le attese pazienti, i passi misurati e le gioie contenute. Ritmi compassati, ma non da perdigiorno o da sfaccendati. Gli individui che affollano quei paesaggi urbani o agresti sono sempre operosi e indaffarati. Intenti a lavorare, a raggiungere qualcuno o assorbiti dal fitto dialogare. Vite piene ed intense quelle dei suoi personaggi, come lo è la natura e l’ambiente che li circonda. Gli uni e gli altri resi complici, in una sintonia cromatica che la pittura esalta e che le stagioni amplificano.
Città e contado si rivelano accomunati dal progresso che non c’è, dall’assenza ostinata e quasi surreale delle macchine da trasporto o da lavoro. “Detesto le automobili perché disturbano il paesaggio, così come detesto i trattori perché feriscono e sviscerano la terra” dice Francesco Maiolo per spiegare la loro totale inesistenza nei suoi quadri. Così la modernità è messa al bando e la pittura diventa evasione. Un luogo rifugio dove tornare bambini, ritrovare le proprie origini, vivere in un alone di fiaba, celebrare l’età dell’innocenza, cullarsi nell’irrealtà, ripensare il mondo scaldandosi al fuoco caldo dei buoni sentimenti.
L’inganno piace perché è consapevole. E le tele di Maiolo aiutano in questo cammino a ritroso, alla ricerca del bel tempo perduto o di quello mai realmente vissuto. In cui la natura era sempre palpitante e rigogliosa, anche sotto una fitta nevicata; generosa e succosa in estate; promettente e frizzante in primavera; appagata e riposante in autunno. Paesaggi, uomini e cose descritti a pennello con colori a volte improbabili o eccessivi, ma di impatto immediato ed avvolgente. Con meticolosità di tratto e ricerca accurata ed accanita dei particolari. Perché anche il sogno deve ancorarsi ad un luogo verosimile per svelare appieno la sua finzione.
Forse, per un verso, si potrebbe spiegare proprio in questo modo la scelta dell’artista piossaschese di tornare ad esporre alla Losano con una mostra dedicata. Alla città di Pinerolo e ai suoi spazi iconografici. Alla cattedrale di S. Donato, alla cavallerizza Caprilli, al palazzo del Senato, alle piazze Fontana e Cavour, a S. Maurizio e al santuario di Madonna delle Grazie. Fino al castello di Osasco e al “casello 30” con alle spalle Monte Oliveto. E perché l’inganno sia dichiarato e credibile, Maiolo si diverte a cambiare non soltanto le figure che animano quegli spazi, collocandole in un tempo immaginario, ma corregge addirittura alcuni riferimenti visivi. Mette il monumento al cavallo di fronte alla Caprilli e varia la direzione del treno alle porte di Pinerolo.
A lui interessa di più la mappa interiore dell’anima e delle emozioni, che quella esteriore dei luoghi e dei profili che li rendono inconfondibili.
Tonino Rivolo
Un tempo immaginario
Francesco Maiolo
Credits: Archivio Francesco Maiolo