Mair Kurt


Kurt Mair nasce nel 1954 a Mengen in Germania, vive e lavora ad Avigliana (TO).
Dal 1978 al 1983 intraprende gli studi artistici alla Scuola Superiore di Pedagogia di Lorrach. Tra il 1983 e il 1987 studia storia dell’arte, archeologia e cultura giapponese all’Università Albert Ludwig di Friburgo. Continua la sua formazione dal 1987 al 1990 alla Scuola di Arti Decorative di Strasburgo, dove si specializza in arti grafiche, studiando incisione e litografia, conseguendo il diploma.
La prima mostra personale è organizzata a Parigi alla Galleria Etienne de Caussans. Dal 1991 al 1996 Mair lavora in un atelier di arti grafiche a Colmar, decidendo in seguito di mettersi in proprio. Da ormai dieci anni, con pitture, oli e opere grafiche Kurt Mair espone regolarmente in Francia, Germania, Italia, Danimarca, Lussemburgo, Belgio, Svezia, Svizzera, Costa Rica e Indonesia con mostre personali o collettive.
Nell’atelier di Avigliana la vita silenziosa si apparta dal mondo senza tuttavia allontanarsene. 

Nelle sue opere le figure, costruite secondo una sapiente, inusata convenzione figurativa, sono protagoniste centrali di tensioni e torsioni che, frantumando il senso unitario della pittura classica e tradizionale, stimolano la certezza del mito attraverso il confronto con la dialettica, della nostalgia delle radici e delle incertezze ideologiche.
Segno e impressione, gestualità e meditazione, pittoricità e chiaroscuro, disegno e colore si intrecciano con ardita libertà e disinibizione, e si dispongono secondo un fantasioso, eppur paradossalmente regolato, disordine, di arte colta e popolare, in un sottile erotismo che poggia sullo spostamento continuo di riferimenti.
Sulla superficie della sua pittura Kurt fa convergere figurazione e decorazione, giocando fra ardite opulenze baroccheggianti e misurata classicità rinascimentale, preziose decorazioni secessioniste e misticismo orientale, intimistiche fabulazioni fiamminghe ed eroiche icone pompeiane.
Le sue acqueforti, realizzate con inconfondibile maestria e padronanza di mestiere, possono essere una bella novità anche per chi l’incisione la pratica d’abitudine, per la grande libertà di interpretazione dei segni che con questa tecnica si possono ottenere. Mair innanzitutto non fa di questo nobile ed antico mestiere un’icona, un dogma cui servire e da seguire ciecamente, pessimo vizio che ha contagiato gran parte degli incisori italiani che seguono quei cattivi maestri che continuano fuori del tempo e della logica a ripetere che l’incisione deve essere “piccola e rigorosamente in bianco e nero”, e trascorrono il loro tempo, sprecandolo, a becchettare con piccoli segni le loro lastre per produrre stampacce scipite senza esito artistico alcuno. 
Nascono così le sue nature morte, vasi, tazze, frutti e fiori, e le sue figure, immagini muliebri in genere, che dispone ora da sole ora in dialogo ed infine in convegni amorosi e carnali, con espliciti riferimenti ai grandi maestri da cui attinge forza ed enigmi: dal Giovane Holbein a Caravaggio, e Goya e l’adorato Rubens, navigando tra le piacevolezze della carne, senza tuttavia tralasciare momentanei effetti di angoscia e scoramento nelle citazioni, di stile e soggetto, delle linee incerte e flessuose, titubanti ed ossute, di Schiele, in una visione che parallelamente rivela un’analoga sinuosa circolarità di pensiero nell’eterno ritorno dell’estasi e del dramma, dell’angoscia e della passione, della vita e della morte. 

Gianfranco Schialvino 


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Credits: Archivio Kurt Mair